Il rendimento di un ragazzo a scuola è importante, non solo per i voti o la pagella di fine anno. Troppo spesso, per stress e impegni di lavoro o semplicemente per distrazione, si tende ad affrontare superficialmente l’argomento, ignorando quanto, ad esempio, un periodo di difficoltà nello studio possa ripercuotersi sulla famiglia e, più in generale, sulla vita sociale di un ragazzo.
“Capita che un bambino venga giudicato pigro perché non riesce a scrivere come gli viene chiesto o distratto perché dimentica del materiale in giro. In realtà dietro queste facili diagnosi ci potrebbe essere dell’altro”.
Fabio Zambrano, tutor senior dell’associazione “Un, Due Tre Stella”, invita a prestare maggiore attenzione al rendimento dei ragazzi a scuola. “Spesso ci si dà delle risposte facili e scontate magari per non affrontare le questioni fino in fondo. Come quando un rendimento molto altalenante viene associato ad una crisi adolescenziale. E’ chiaro che in molti casi può essere la giusta chiave di lettura, ma non sempre basta fidarsi del proprio istinto e delle proprie esperienze. Occorre affidarsi a operatori e professionalità specifiche”.
Come vanno allora affrontate queste situazioni?
Ponendosi delle domande, credo sia la prima cosa da fare. Dietro quella che noi abbiamo catalogato come pigrizia, ci potrebbe essere una difficoltà nella scrittura, così come la svogliatezza potrebbe in realtà nascondere un problema di organizzazione e pianificazione dello studio. Facendo una semplice valutazione in studi polispecialistici convenzionati, è possibile capire se ci sia o meno un problema riguardante l’apprendimento, oppure l’attenzione, o ancora l’ansia e la gestione dello stress. Sono tutti elementi che vanno valutati, analizzati e compresi in modo da tracciare il percorso di tutoraggio didattico più adatto.
Qual è il passo successivo?
Dalla certificazione prodotta sarà possibile avviare un progetto che prevederà la presenza a casa di un tutor didattico per lavorare insieme al minore, oltre ad attivare un piano didattico personalizzato (PDP) con cui la scuola dovrà attivare una serie di strumenti compensativi e dispensativi per definire il percorso di studio per il minore. Per quanto riguarda i disturbi dell’apprendimento, dal 2010, grazie alla legge 170, è possibile strutturare un intervento coordinato tra casa e scuola, grazie alla certificazione successiva le valutazioni effettuate, che permettono di strutturare un PDP.
Qual è il ruolo del tutor didattico?
Il suo intervento è in genere rivolto a utenti che hanno un disturbo dell’apprendimento, i cosiddetti DSA (dislessia, discalculia, disortografia, disgrafia). Ma il tutor, più in generale, interviene su minori nell’ambito di un percorso di studio e di crescita, per aiutare l’utente a strutturare un metodo di studio funzionale, adatto alle sue difficoltà e che permetta una sana maturazione. Spesso i tutor sono psicologi, ma si possono incontrare anche altri tipi di professionalità, come logopedisti o psicomotricisti.
Prego, continui.
Il tutor non ha semplicemente il ruolo di accompagnare lo studente nel lavoro a casa, ma si relaziona anche con la scuola, in particolare con il coordinatore di classe, per supervisionare e garantire il percorso avviato in seguito alla certificazione. Dobbiamo immaginare il tutor come il punto centrale in uno schema a raggiera, in cui egli si relaziona con quattro figure fondamentali: in primis l’utente con cui lavora, di conseguenza la famiglia, poi la scuola e lo studio psicologico che gestisce il caso.
Un rapporto di collaborazione e sinergia che abbraccia l’intero anno scolastico.
Certamente, il lavoro del tutor didattico può essere suddiviso in cinque fasi. Si parte a settembre con gli incontri a casa e gli obiettivi per l’anno che è appena iniziato. Tra novembre e dicembre, dopo i primi incontri con la scuola, viene compilato il PDP che viene poi controfirmato dalla famiglia e dall’utente. A gennaio, sulla base dei risultati del primo quadrimestre, viene stilato un primo resoconto del lavoro svolto. A marzo si concentrano gli incontri pomeridiani con i professori e gli ultimi colloqui dell’anno scolastico. A giugno, infine, il tutor trasferisce alla famiglia quanto fatto nel corso dell’anno scolastico in base agli obiettivi prefissati.
Non c’è il rischio che sia crei una sorta di dipendenza del ragazzo nei confronti del tutor?
No, perché la funzione di raccordo che il tutor ha nelle prime fasi del progetto va man mano allentandosi, proprio perché l’obiettivo a lungo termine è quello di rendere autonomo l’utente e, quindi, anche la famiglia.
Concretamente come opera un tutor? Come riesce a trasferire al ragazzo la giusta organizzazione per le attività di studio?
Prima di tutto deve comprendere quali sono le principali difficoltà nello studio, in modo da pensare a quale sia la metodologia migliore da usare nelle ore di lavoro. Viene spesso insegnato l’utilizzo di mappe concettuali, schemi, come prendere appunti e altri metodi fondamentali dello studio. Così come sono molto utili anche strumenti come il calendario, il diario di lavoro o l’uso dell’orologio per gestire al meglio il fattore tempo. E’ un lavoro complesso che va in profondità e che diventa fondamentale per la crescita e la piena maturità dei ragazzi che presentano difficoltà di varia natura.