Hanno la voce ma non riescono a parlare, soprattutto in pubblico e con persone esterne ed estranee alla cerchia familiare. Il mutismo selettivo è un disturbo d’ansia, che si manifesta dai tre anni in su, quando i bambini fanno il loro debutto in società.
“Un bambino con mutismo selettivo non ha problemi di linguaggio, ma tende a parlare tranquillamente solo in contesti in cui non vive situazioni di ansia”, precisa Simona Ius, psicologa e psicoterapeuta di Roma che si occupa da anni del disturbo d’ansia.
Il mutismo selettivo è circoscritto ai bambini o può manifestarsi anche in età adulta?
Può capitare, ma si parla di ansia sociale. In genere questa tipologia di disturbo emerge quando si inizia ad andare a scuola: in quel contesto, con i primi contatti con il mondo esterno, il bambino manifesta le prime difficoltà a rapportarsi con le maestre, ma anche con gli altri bambini. Non di rado si manifesta anche prima, al nido, nelle prime occasioni in cui il piccolo è lontano dal contesto familiare, e quindi si ritrova senza genitori e senza le altre figure di riferimento. Questi bambini sono spesso anche bloccati nei movimenti, ma non è sempre così, a volte è solo ed esclusivamente un problema di voce. Chi associa alle difficoltà ad esprimersi anche quelle fisiche, è in genere atletico e agile in famiglia, mentre a scuola si muove più a fatica, con movimenti molto più rigidi e controllati.
Dottoressa, ci sono correlazioni con l’autismo?
No, assolutamente, anche se a volte questo comportamento ritirato può essere talmente profondo da essere confuso con quello autistico. Nel mutismo selettivo, però, non c’è un isolamento rispetto all’input informativo: il bambino tende infatti a trasferire, a raccontare in famiglia quello che ha visto e vissuto altrove.
Di mutismo selettivo si parla relativamente da poco. In passato c’era semplicemente più ignoranza o effettivamente il contesto nel quale viviamo ha in qualche modo favorito lo sviluppo di certi disturbi?
E’ difficile rispondere a questa domanda. Diciamo che in passato i bambini con problemi di questo tipo erano spesso considerati come oppositivi, come se non parlassero per scelta. Ancora oggi molti insegnanti ed educatori pensano che questi bambini siano oppositivi o timidi. Invece loro giocano, si muovono, comunicano in altri modi, ma la richiesta di produrre parole li blocca.
Quanto incide l’aspetto competitivo che fa ormai stabilmente parte della nostra vita?
L’aspetto della competizione incide, e a scuola è naturale che si chieda in qualche modo una prestazione. Anche nel momento in cui un bambino chiede di andare in bagno a lavare le mani, l’insegnante tende a raccomandargli di lavarle bene. Anche questa è una richiesta di prestazione. I bambini con mutismo selettivo non amano stare al centro dell’attenzione ed essere valutati, anche positivamente. Non è opportuno fare loro apprezzamenti. Meglio dire loro come è bello questo disegno, piuttosto che come sei stato bravo. Non cercano visibilità, ma attenzione a dimenticarcene, soprattutto a scuola, dove magari un insegnante lo può, naturalmente in maniera involontaria, far sentire abbandonato.
Dottoressa, se la sente di dare qualche consiglio pratico a chi vive situazioni simili in famiglia?
Il mio lavoro è fondamentalmente questo, ho più contatti con le famiglie che con i bambini. Come psicologi lavoriamo in rete con i genitori, la scuola e tutte le altre persone che ruotano intorno al bambino. Penso ai nonni, ma anche all’allenatore di calcio o al capo-scout. Ognuno di loro può avere un ruolo più o meno importante nella vita di questi bambini e tutti vanno coinvolti. Il percorso del bambino deve essere condiviso per poter portare ad un risultato positivo.
E cosa raccomanda e chiede con più insistenza a chi vive la quotidianità di questi bambini?
Ha visto il film di Checco Zalone che parlava di mutismo selettivo? Ecco, diciamo che bisogna fare esattamente il contrario (ride, ndr). Smettiamola di concentrare la nostra attenzione sulla parola, dimentichiamo di voler sentire a tutti i costi la loro voce. Bisogna imparare ad ascoltare le loro emozioni, ad interpretare gli altri canali di comunicazione. Questi bambini, in genere, si sbloccano gradualmente, magari iniziando a parlare con un amico o, caso ancora più frequente, con un estraneo, magari una persona che il bambino sa che non rivedrà mai più. Ecco, in questo, aveva ragione Zalone.